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05/08/2024

FUORI ORA “TRITTICO” IL NUOVO DISCO DI CONCERTO CLASSICS

FUORI ORA “TRITTICO” IL NUOVO DISCO DI CONCERTO CLASSICS

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Cosimo Carovani

Giovanni Sollima

Orchestra Milano Classica

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Le tre parti si fondono nei concetti di radici, inconscio e religiosità,

trasformando il Trittico in un’esperienza musicale profonda e coinvolgente

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Questo album offre un’immersione nel mondo musicale di Cosimo Carovani, violoncellista e compositore eclettico il quale, attraverso la collaborazione con Giovanni Sollima e l'Orchestra Milano Classica, presenta questo progetto svelando le diverse anime del suo talento. Con le tre opere Parva Missa - Tuscan folk songs I - Ethernal night I, questo "Trittico" ci mostra un’esplorazione profonda della sensibilità musicale dell’autore, completamente immerso nella ricerca e nella sperimentazione del nuovo in questo nostro presente.

La decisione di scrivere per un’orchestra d’archi, concepita come un grande quartetto, è il risultato della fusione delle esperienze del Carovani, violoncellista anche del celebre Quartetto Indaco (primo quartetto nella storia italiana a vincere la medaglia d’oro all’Osaka International Chamber Music Competition).

Scritta durante la pandemia, la Parva missa per violoncello e orchestra d’archi (dedicata a Giovanni Sollima) incarna in musica, come afferma l’autore stesso, quei “momenti tremendi di solitudine mentre il mondo fuori dalle mura soffriva per paura e incertezza”. Nel Corale, Motto d’apertura la prima viola d’orchestra appare con la salmodia (un motto ricorrente di quattro note Do#-La-Mi-Si) come l’officiante di un rito, ruolo che poi prenderà sempre il violoncello solista, a cui l’orchestra risponde come un coro di fedeli. In quest’incipit c’è una strana, enigmatica serenità, forse il respiro della natura che riprende possesso del mondo e ci porta a interrogarci sul senso dell’esistere. Più drammatico è il Kyrie Eleison, riflesso di una Sehnsucht contemporanea in cui la voce del violoncello (“incantato, a piena voce, sognante”) passa dalla dolcezza onirica alla violenza espressionista, mentre l’orchestra si fa spesso specchio di un pulviscolo celeste, Natura divina interrogata dalle implorazioni del salmodiante solista. Dopo una sospensione, note ribattute del violoncello (“sospirando”) preludono a un riacutizzarsi del dramma (Confiteor), che si fa tragedia, sulla scansione inesorabile “stomp” (l’orchestra batte i piedi a terra), quasi un destino che bussa alla porta. Infuocati giri d’arco del solista danno inizio a un grande climax, che conduce “fino al rumore”, in un’atmosfera di disperazione. Sull’orlo dell’abisso, un silenzio improvviso precede l’Introito e Credo, in cui il solista suona e canta al tempo stesso: la voce umana diventa gesto per ricreare il mondo. Fra dubbi e tormenti, i crescendo stavolta sembrano incarnare un desiderio di ricostruzione. Il violoncello ingaggia una sorta di lotta coi pensieri negativi espressi da alcune frasi minacciose, finché si giunge a un nuovo apice, ffffKyrie e Summa ci presentano un solista rapsodico, che cerca la libertà, ritrovandola definitivamente In Paradisum. Ma la riconquistata serenità, tutt’altro che naif, lascia dietro di sé una scia nostalgica, espressa con intimo e struggente pathos nel conclusivo corale “Auch ich war”: una vena di fatalistica dolcezza tinge di Wehmut le ultime note, con un dialogo fra violoncelli che si eleva verso l’acuto, come una tensione al Sommo Bene. 

Con Tuscan Folk Songs I viaggiamo verso tinte più forti: l’universo popolare dei canti tradizionali toscani diventa un punto di partenza per una sperimentazione coloristica radicale. L’Introduzione, una Preghiera su Maremma amara, canto che parla dell’alternativa tra il morire di fame e il morire di malaria, “lento, fumoso, parlando”, evoca i sussurri della natura; il Trescone, ballo di origine medievale, si apre invece con un tema esposto spavaldamente, in maniera omofonica, dagli archi tutti, a cui risponde su armonie distorte la sezione più acuta. Come in Italia di Casella o Aus Italien di Richard Strauss, il compositore esaspera il folklore fino a rendere unheimlich (perturbante, non familiare) ciò che originariamente era heimlich. Il gioco di suoni armonici, anche in visionari glissando, e di contrasti di registro si approfondisce in “Cade l’oliva”, altro canto popolare, metamorfosato in valzer lento. Lo straniamento si acuisce con Lullaby (Ninna nanna dei sette venti), tutt’altro che univocamente tranquilla, finché Maremma amara esplode nuovamente in forma di corale conclusivo, pomposamente festoso e sacrale al tempo stesso, con gli archi trattati talvolta come un meta-organo. Nel complesso, oltre a compositori etnomusicologi del Novecento storico come Bartók, il pensiero va anche al Berio dei Folksongs: pur trattandosi di materiale omogeneo geograficamente, si nota in Carovani un’ottica multiculturale, che musicalmente attinge a universi sonori e linguistici disparati.

Molto più conflittuale è invece l’universo ancestrale di Eternal Nights I, quasi un dialogo-lotta in cui macrocosmo dell’Universo e microcosmo dell’insondabile anima umana si specchiano e si interrogano. L’Adagissimo iniziale evoca la creazione (“che si possa avvertire l’eternità”): il pianissimo è però rotto da un fortissimo violento, come un rumore, la prima di una serie di interruzioni di una sorta di pace primigenia. Il gruppo degli archi si fa spesso strumento “altro”, sorta di organum che può evocare una vox cœlestis o minacciosi mostri. In quattro movimenti, la composizione passa dalla solennità di un Corale e Processione a una vena più profana nella Danza che segue la Salmodia, integrando nel materiale numerosi richiami novecenteschi, sia dal mondo della canzone d’autore sia da quello stravinskiano (evidenti i richiami a modelli ritmici del Sacre du printemps). Nella parte finale (Landscape e ripresa), le quartine di tutti gli strumenti in sordina sembrano evocare un “rumore di stelle” interrotto da sferzate improvvise, prima che il mistero dell’Essere sia ancora una volta celebrato, alle soglie del silenzio.

Luca Ciammarughi

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